Indecisione: quando ogni scelta è un dubbio amletico

da | Nov 3, 2020 | relazioni in famiglia, relazioni sociali

Essere o non essere questo è il dilemma

(Shakespeare W., Amleto)

L’indecisione è per definizione quello stato di incertezza che nasce quando si è chiamati a compiere una scelta.   

A chiunque capita di sentirsi indecisi. Ma per alcune persone questa condizione può diventare uno stato “permanente” e caratterizza in modo pervasivo il vivere quotidiano.

Ci si pone le più svariate domande: “cosa fare?”, “quale sarà la scelta migliore?”, “sarà giusto o sbagliato?”, “come andrà a finire se…?”, o anche “cosa penseranno se faccio/non faccio così?”

Domande che possono presentarsi nella vita di tutti i giorni o accentuarsi in alcuni momenti critici: “mi sarò comportata bene con quella persona?”, “avrò fatto bene a dire di sì o di no a quella proposta di lavoro?”, “quale scuola sarà la più giusta per me?”, “quale strada intraprendere per il proprio futuro professionale/scolastico/familiare?”, “continuo a rimanere in quella relazione anche se non mi fa stare bene o la interrompo?”, “la separazione sarebbe una scelta positiva o negativa per me e per i miei figli?…e gli esempi possono essere infiniti…

Piccole o grandi che siano, le decisioni da prendere sembrano trasformarsi in enormi montagne da scalare.

La persona può arrivare a essere così permeata dallo stato di indecisione da non riuscire più a svolgere serenamente i compiti della vita quotidiana, come studio, lavoro, mansioni familiari, relazioni sociali.

Le strategie con cui affrontare la “temibile” (in)decisione possono essere diverse:

  • agire d’impulso

è tipico di chi agisce in maniera repentina, senza pensarci troppo. Questa modalità se apparentemente può essere vantaggiosa perché consente di prendere delle decisioni in brevissimo tempo (pertanto è funzionale in alcuni specifici casi, come nelle situazioni di pericolo ad esempio), comporta lo svantaggio di giungere a soluzioni “non pensate”. È tipico ad esempio degli adolescenti, che reagiscono “impulsivamente”, senza meditare sulle conseguenze delle loro azioni, dando voce solo alle loro emozioni.

  • negare il problema

uno dei meccanismi con cui la mente a volte si difende consiste proprio nel negare, nel fare finta di non vedere quel particolare problema, o quella particolare situazione; o meglio ancora, si cerca di non “vedere” le emozioni sottostanti. Questo aiuta a mantenere un proprio equilibrio e infonde un senso di tranquillità…ma di certo non risolve il problema che resta sempre lì!

Le relazioni di coppia spesso evidenziano aspetti d negazione… si cerca di non vedere quel particolare comportamento del partner, “non ci si accorge di nulla…” quando ad esempio ci sono dei tradimenti, o dei segnali di crisi, come silenzi, bugie o assenze del partner.

  • procrastinare

vuol dire rimandare, possibilmente all’infinito, il momento della decisione.

Questa modalità dà l’apparente illusione che, avendo più tempo, si possa decidere con maggiore consapevolezza, ma in realtà si trasforma in un continuo “domani” a cui non c’è fine.

Si rimandano gli esami all’università, ad esempio, fino a non concludere mai gli studi; si rimanda la scelta di sposarsi, o di avere dei figli, di cambiare lavoro o città…

  • evitare il momento della scelta

“parente stretto” del procrastinare, il tentativo di evitare la scelta consiste appunto nel tentare di stare quanto più lontani dai problemi. Si ha la convinzione che evitando la situazione, si evitino anche le emozioni, spesso ansiogene, che quell’evento comporta. Ha infatti una funzione adattiva, dal momento che “tiene lontani” dalle situazioni potenzialmente di pericolo. Non a caso, l’evitamento è tipico nei casi di fobie particolari (si salgono le scale piuttosto che salire in ascensore, si evitano i luoghi in cui è possibile imbattersi in serpenti, ragni, insetti etc, si sceglie di viaggiare in auto per evitare l’aereo…etc etc).

  • delegare

a volte si preferisce lasciare che siano “gli altri” a decidere per noi, consciamente o inconsciamente.

Si può fare di tutto ad esempio per essere lasciati dal partner, oppure sul lavoro si fa di tutto per essere cambiati di reparto o di mansione; si può chiedere consiglio a chiunque ci è vicino, nella speranza di capire quale possa essere “la scelta migliore” secondo la maggioranza. Ma ognuno ha il proprio punto di vista, il proprio registro di valutazione di valori con cui leggere e dare significato alle cose e agli eventi, per cui può essere rischioso affidarsi a “ciò che farebbero gli altri”, perché si perde il “cosa farei io”, ovvero si perdono di vista i propri desideri, bisogni, vissuti, emozioni.

Tutto pur di allentare e risolvere lo stato di disagio, paura, ansia, perdita di concentrazione, difficoltà a riposare etc…

Si avverte uno stato di tensione tra forze opposte, tra desideri e bisogni contrastanti tra di loro:

Ci si trova in un vero e proprio conflitto!

Indecisione: cosa si nasconde dietro?

Ogni decisione e conseguente in-decisone,“racconta” di noi. Può essere la punta di un iceberg che sottende qualcosa di molto più profondo.

Chiedersi continuamente, ad esempio, quale sarà la scelta più giusta, può essere un altro modo di esprimere il timore di sbagliare e la fantasia di fare tutto senza commettere errori, rincorrendo un’immagine ideale di sé stessi che rasenta la perfezione.

Ci si può chiedere quindi cosa “significa” commettere un errore? Ed essere perfetti, per chi?

E ancora, quando ci si interroga su cosa penseranno gli altri è molto probabile che si stia riconoscendo al giudizio degli altri un ruolo molto importante, non solo in quella decisione ma probabilmente in generale nella nostra vita.

Così come continuare a chiedersi cosa sarà del futuro se si farà o non si farà una determinata scelta, fino a decidere di stare fermi, di non muoversi, può sottendere la paura ad accettare quella parte di cambiamento, di novità, di “sconosciuto” ed “estraneo”, che ogni decisione comporta.

Si vuole che tutto cambi, senza che nulla cambi…

Dove nasce l’indecisione?

Secondo il modello gruppoanalitico ogni persona cresce, matura, evolve nella continua ricerca di equilibrio tra ciò che “è conosciuto” e lo “sconosciuto”, tra il “noto” e “l’ignoto”.

Per spiegarla in parole più semplici, non si ereditano solo i geni, ma anche il modo di essere e di stare nel mondo, le caratteristiche affettive, comportamentali e meccanismi di difesa, appresi e interiorizzati prima fra tutti nel proprio sistema familiare.

Ma se fossimo solo frutto di questa interiorizzazione, finiremmo per vivere una vita identica in tutto e per tutto, per generazioni, a quelle dei nostri padri, senza che mai nulla cambi e senza poterci differenziare.

Fin da quando si è piccolissimi, invece, avvertiamo una spinta a differenziarci, e i “no” ripetuti dei bambini ne sono un esempio tipico.

Si cerca di essere “diversi”, appunto, “creativi”, “autentici”. Per farlo è necessario distanziarci e differenziarci rispetto ai codici comportamentali, affettivi e relazionali conosciuti.

Viene in mente ancora una volta quanto questo sia maggiormente evidente nel periodo dell’adolescenza: fase della vita in cui, da una parte si avverte una forte spinta a diventare altro dai propri genitori e dalle proprie origini, dall’altra si fa di tutto per mantenere uno stato di dipendenza. Esempio semplice, ma concreto, è la richiesta di essere trattati da “grandi”, di avere una propria vita sociale e affettiva al di fuori della famiglia, ma senza rinunciare alla “paghetta settimanale”, che altro non è se non un modo, inconscio, di assicurarsi ancora “dipendenza” e “accudimento” da parte del proprio nucleo familiare.

Prendere una decisione, dunque, vuol dire farsi strada tra le “mille voci” che affollano la mente, che “suggeriscono” cosa si “dovrebbe fare” o come si “dovrebbe essere” e individuare “cosa si vorrebbe fare” e “come si vorrebbe essere”.

È il dubbio che pone Shakespeare nel suo Amleto: l’eterno dilemma tra l’”essere” (pienamente autentici) e “non essere” (essere solo identici).

Come sciogliere il dilemma dell’indecisione?

Sarebbe bello avere e offrire semplici e poche “regole” da mettere in pratica di fronte ad ogni momento di indecisione. Sarebbe bello ma, ritengo, anche un po’ semplicistico.

Si dice che tra il “dire” e il “fare” ci sia di mezzo il mare! Un detto comune, che apre a una considerazione: non sempre basta sapere esattamente “cosa” c’è da fare perché si risolva un problema o per diventarne competenti. Mi viene in mente la cucina e la capacità di cucinare: posso essere un bravissimo cuoco, ripetere alla perfezione le “istruzioni” che trovo nella ricetta, ma questo non significa diventare degli chef! Per farlo ci vuole ben altro: ci vuole impegno, dedizione, fatica ma soprattutto tempo! E questo credo valga per tanti ambiti della vita quotidiana, non da ultimo per le questioni che riguardano aspetti complessi come il nostro modo di essere, di relazionarci, di stare nel mondo! Forse più che ragionare in termini di “cosa fare”, si può provare ad assumere la prospettiva del “come fare”, ovvero come “attraversare” il problema e vedere dove ci porta…

Abbiamo detto che l’indecisione è come un conflitto interno, tra desideri e volontà contrastanti.

In cinese la parola “conflitto” è rappresentata da due ideogrammi: uno significa “crisi” e l’altro “opportunità”.

Ci si può quindi chiedere: il quesito che ho davanti è davvero (solo) un problema o può essere (anche) una opportunità

Opportunità per ri-scoprire parti di noi, modi essere e di essere in relazione con l’altro che non abbiamo mai visto, notato, ascoltato…

Prendere una decisione, quindi, può voler dire lasciare andare delle parti di sé, accettare il cambiamento che questo comporta, fare spazio al nuovo, all’ignoto, a qualcosa che è sconosciuto ed estraneo. Aprirsi alla possibilità di “ribaltare” la prospettiva e provare a considerare non più il singolo, specifico problema di quel momento, ma la propria personale modalità di vivere e affrontare le decisioni, qualsiasi esse siano…

Questo esplorare, guardare, ascoltare e attraversare delle parti di noi, può risultare particolarmente faticoso; in quel caso, se necessario, si può sempre chiedere di farlo insieme all’aiuto di una persona qualificata e competente, come uno psicoterapeuta.

Una decisione, quella di un percorso psicologico, a volte difficile da prendere, ma che può rivelarsi, anch’essa, un’opportunità!

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